La pietra è un materiale da costruzione il cui impiego ha accompagnato il corso della storia dell’architettura occidentale, lasciando un’impronta particolarmente profonda nell’area mediterranea. Le origini dell’architettura lapidea vengono riscontrate nel periodo egizio, quando per la prima volta si comincia a cavare la pietra a scopo di edificazione, le stesse civiltà antiche arriveranno ad erigere complessi monumentali imponenti e che in molti casi sono perdurati fino ai tempi nostri.
E’ dimostrabile come nel corso del tempo il materiale “Pietra” sia sempre stato attuale, dato che il suo impiego non ha mai conosciuto “tempi morti”. Una parte molto significativa delle forme archetipiche ricorrenti ancora oggi nelle costruzioni (anche quelle realizzate con materiali non lapidei) deriva dall’impiego della pietra; nessun altro materiale è stato altrettanto in grado di instaurare una relazione tanto stretta e di reciprocità con la cultura dei popoli.
La conoscenza e l’uso di questa pietra sono di antichissima data: importanti reperti e monumenti in porfido sono stati scoperti nei luoghi delle civiltà assiro-babilonesi, egizie e romane. Proprio in epoca romana il porfido rosso, così definito a causa del suo colore porpora, assurse a simbolo di grande prestigio e di dignità regale. Il titolo di “porfirogenito” voleva dire “nato in una stanza completamente rivestita di porfido”, stanza esistente solo nei palazzi del potere. Molti imperatori vennero sepolti entro sarcofaghi di porfido. Nell’antichità e fino al 500 d. C. il porfido proveniva quasi unicamente dal deserto orientale egiziano, da cave scavate nelle alture di Gebel Dokhan, successivamente rinominate Mons Porphyrites per il colore della sua roccia; da qui il nome di Lapis Porphyrites e poi di Porfido Rosso Antico con cui ancor oggi è conosciuto.
Fonte battesimale di San Pietro in Porfido Rosso Antico – Basilica di San Pietro a Roma - Stato Vaticano
Si narra che in porfido fossero i sepolcri di Nerone e di Settimo Severo e le parti più importanti dei palazzi imperiali di Diocleziano e di Costantino. Dalle rovine dei palazzi romani proveniva il porfido impiegato nelle successive epoche, come avvenne per la costruzione dei monumenti tombali dei regnanti siciliani. Anche la fonte battesimale di S. Pietro a Roma non è altro che la lastra in porfido che ricopriva il monumento funebre di Ottone II, girata e lavorata nel XVII secolo. Giorgio Vasari parla del porfido nella sua opera “Dell’Architettura”, l’autore ne mise in luce la durezza capace di mettere a dura prova gli strumenti di scultori rinascimentali sia pur del calibro di Leon Battista Alberti e Michelangelo Buonarroti. R. Gnoli riporta che: “.. al prestigio ed al fascino del porfido dobbiamo infine la scelta della pietra usata per l’immenso sarcofago di Napoleone, sotto la cupola degli Invalidi”. In Trentino il porfido venne dapprima utilizzato come pietra da costruzione ed in seguito quale manto di copertura dei tetti degli edifici, impiegando lastre grossolanamente lavorate e di spessore sottile. Le prime pavimentazioni in cubetti risalgono invece agli ultimi decenni del 1800, con l’apertura delle prime cave in provincia di Bolzano. Nel ‘900, poi, l’evolversi ed il moltiplicarsi delle aziende interessate all’estrazione ed alla lavorazione del porfido, unito all’espandersi del mercato hanno portato ad un fortissimo incremento della produzione, nonché ad un progressivo miglioramento dei mezzi e delle tecniche di estrazione.
Tratto da:
Il manuale del porfido Paolo Tomnio e Fiorino Filippi Edizioni E.S.PO.
Il termine “Beola” deriverebbe da quello del paese di Beura nella Val d’Ossola mentre la storia della commercializzazione di questo materiale è legata alle vie fluviali ed in particolar modo al Naviglio Grande, reso navigabile fin dentro Milano alla fine del XIII secolo. La beola trovò largo impiego nell’edilizia civile milanese e lombarda: nella realizzazione di gradini, soglie, davanzali, zoccoli e per la copertura di tetti e la pavimentazione di piazzali esterni.
Murature e pavimentazioni in Serizzo e Beole della Val D’Ossola – Castello Sforzesco di Milano
Il Serizzo fu molto utilizzato sin dall’età romana quando con questo materiale si realizzavano i fusti delle colonne. A Milano venne adoperato Serizzo per lo zoccolo e per il nucleo interno dei piloni del Duomo, nel Castello Sforzesco per i pavimenti e per le murature delle torri circolari, nonché in varie altre costruzioni sia civili che sacre. In epoca moderna il Serizzo trova applicazione in molteplici pavimentazioni e rivestimenti di edifici privati, nonché, a testimonianza del mantenimento della sua storica funzione di rappresentanza, arreda importanti opere quali gli aeroporti di Milano Malpensa e di Francoforte, le metropolitane delle città di Milano, Bruxelles e Singapore.
L’estrazione della Pietra di Luserna risale all’epoca medioevale, quando i suoi principali impieghi furono in lastre per tetti, marciapiedi, pavimentazioni, balconi e davanzali di abitazioni popolari. Nel passato venne considerato un materiale povero, fin quando nell’Ottocento un grande architetto, Alessandro Antonelli, quasi a volerne riscattare la sorti, la utilizzò nella sua più ardita e mirabile opera: la Mole Antonelliana. In questa architettura che divenne ben presto il simbolo della Città di Torino, la Pietra di Luserna ebbe sia il compito di ricoprire mediante lose a piano naturale l’intera superficie della cupola sia l’importante mansione strutturale di rinforzo delle murature edificate mediante la giustapposizione di lastre, visibili anche oggi, tra i corsi di mattoni, allo scopo di dare maggiore solidità all’edificio.
Murature e pavimentazioni in Serizzo e Beole della Val D’Ossola – Mole Antonelliana a Torino
Torino, capitale dell’impero dei Savoia divenne ben presto baluardo dell’impiego della Luserna che in epoca umbertina raggiunse qui il suo massimo storico. Oggi la Pietra di Luserna, il cui mercato è diventato mondiale, è utilizzata nell’edilizia civile per la produzione di pavimentazioni, rivestimenti, arredi esterni e arredi interni, restando attore privilegiato per architetture sia contemporanee che attente alle tradizioni del proprio passato.
La Trachite dei Colli Euganei era già conosciuta all’epoca romana, come dimostrano vari ritrovamenti di manufatti nel territorio veneto, da Adria ad Altino fino alle campagne veronesi. Il suo principale impiego fu nelle pavimentazioni stradali, dove era conosciuta con il nome di “silix”. Nel Medioevo l’uso della pietra si fece assai più raro a causa di un’economia impoverita e di un incremento del costo della manodopera conseguente al termine della schiavitù. Per le strade delle città medioevali si preferirono i ciottoli di fiume, non necessitavano di particolari lavorazioni ed erano di facile reperibilità. La ripresa dell’impiego della pietra nelle pavimentazioni urbane avvenne tra il 1600 ed il 1700 nella Repubblica Veneta, quando, conosciuta con il nome di “Masegna”, venne usata per i tipici lastricati nonché, nel 1723, per la realizzazione dell’attuale pavimentazione di Piazza San Marco a Venezia. Nel tardo 1700, per opera degli Enciclopedisti francesi, nascerà il nome di “trachite”; (di derivazione greca e con il significato di “ruvido”) a testimonianza delle proprietà di un materiale particolarmente privo di scivolosità, impiegabile in climi umidi e piovosi, in grado di mantenere le proprie doti anche quando l’usura ne ha consumato le asperità superficiali.
Pavimentazione in Trachite – Piazza San Marco a Venezia
Dopo la seconda guerra mondiale furono introdotte le prime macchine per la lavorazione in lastre, sia per la produzione di pavimentazioni che di rivestimenti edili soprattutto per il mercato lombardo e veneto, già culturalmente abituati ad apprezzare le peculiarità ed i pregi di questa pietra al di là dalle sue caratteristiche cromatiche che non sono certo dote principale di questo materiale.
Lo sfruttamento della Pietra di Lessinia, detta anche Pietra di Prun, risalirebbe addirittura alla Protostoria:
secondo alcuni studiosi l’estrazione di questo materiale iniziò intorno all’età del ferro, prima di quella di qualsiasi altra roccia calcarea, e si diffuse ampiamente per la costruzione di villaggi fortificati e di case di tipo “retico”. La successiva storia di questa pietra, dall’età romana fino all’epoca moderna, fu però segnata dalle difficoltà di accesso dei siti estrattivi, dalla distanza dai centri di principale utilizzo e commercio, nonché da un certo offuscamento conseguente all’imponente espansione del limitrofo bacino della Valpolicella. Tutto ciò ha di fatto influito sullo sviluppo della pietra, relegandola per molto tempo ad un ruolo di secondo piano rispetto al più famoso marmo veronese: il rosso Verona.
Muratura in Pietra della Lessinia – Sinagoga Cymbalista a Tel Aviv
Attualmente buona parte delle difficoltà del passato sono state superate dall’avanzamento tecnologico e dalle nuove vie di comunicazione. La pietra della Lessinia trova utilizzo oggi nell’industria delle costruzioni, sia nella propria conformazione naturale, in cui emergono a vista le protuberanze più o meno rotondeggianti corrispondenti alle superfici di separazione, sia nelle diverse configurazioni finali conseguenti alle diverse fasi di lavorazione e finitura superficiali. A partire dalla pietra grezza appena spazzolata, che trova la sua collocazione naturale nelle strutture civili di carattere rustico, i vari livelli di rifinitura consentono alla pietra svariati usi fin a contesti architettonici sofisticati e rifiniti. Negli ultimi anni numerosi interventi architettonici di particolare pregio sono stati realizzati con questo materiale, Mario Botta l’ha utilizzata per alcune sue importanti opere come la Sinagoga Cymbalista, il Centro dell’eredità Ebraica di Tel Aviv, nonché edifici religiosi come la Chiesa di Seriate (Bergamo) e la facciata della Chiesa di Genestrerio in Canton Ticino. Anche Carlo Scarpa lega due sue importanti opere alla Pietra della Lessinia: la ristrutturazione di Castelvecchio a Verona, in cui l’uso della pietra locale era una naturale conseguenza delle edificazioni precedenti ed il negozio Olivetti a Venezia che ne vede l’utilizzo in lastrame da pavimentazione in quantità preponderante rispetto agli altri materiali presenti ma al contempo con la capacità di relazionarsi ad essi. L’architetto Paolo Portoghesi, anch’esso estimato conoscitore di questo materiale, afferma che la Pietra della Lessinia è l’unico materiale ad aver costretto gli utilizzatori a piegarsi alle sue caratteristiche: “La Pietra della Lessinia ha una sua virtualità creativa che ha suggerito agli scalpellini e ai muratori il modo in cui fare le case e non c’è nessun altro posto in Italia con una grammatica architettonica costruita sul materiale”.